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GIACINTO DETTO MARCO

Di: Fulvio Savagnone | 21/05/2016
Uno dei ricordi più belli della mia vita fu quando nel giugno 1978 suonammo a Piazza Navona, davanti a un migliaio di persone, durante la festa di chiusura della campagna referendaria radicale che portò all’abrogazione della famigerata Legge Reale sull’ordine pubblico e del finanziamento pubblico dei partiti (qui mi trovavo meno d’accordo ma tant’è). Avemmo anche un bel successo nonostante suonassimo stranezze mistico-indiane-elettroniche.
Non era la prima volta che suonavamo per i Radicali: ricordo almeno un altro concerto a piazza Farnese un paio di anni prima: anche quello una gran folla, e un successo ancora più grande, nonostante la musica elettronica-tedesca-fischi-e-botti, talmente fischi-e-botti che dovemmo smettere dopo il primo pezzo perché il sinthy VCS3 si mise a fare capricci perdendo l’accordatura...
Tutto questo per dire che allora noi “alternativi”, noi ”contro il sistema”, noi alla ricerca di una libertà totale eravamo assai vicino al Partito Radicale e alle sue lotte. E il volto del Partito Radicale era Giacinto Pannella, detto Marco.

Quei tempi vanno inquadrati perché per un ragazzo di oggi forse non è semplice capire com’era l’Italia di allora per i ragazzi di allora.
Agli inizi degli anni ’70, nonostante il ’68 e i fermenti che venivano da San Francisco, da Londra, da Amsterdam, l’Italia era un paese democristiano, ossessivamente bacchettone (le braghe alle gemelle Kessler, i processi a Braibanti e Pasolini, la censura pervasiva) e il PCI era quasi altrettanto bacchettone.
Sul nostro lato della barricata c’erano però tante cose: c’era una reale rete alternativa di iniziative politiche e anche sociali, c'era Soccorso Rosso per i compagni arrestati, l’AIED che permetteva alle ragazze di accedere ai contraccettivi senza troppi processi alle intenzioni, e c'erano i Radicali di Pannella, che riuscirono davvero a sovvertire lo status quo con la vittoria al referendum cattolico contro la legge sul divorzio (1974).
Ma quella vittoria fu il risultato di anni di lotte in nome dell'anticlericalismo, dell'abrogazione del Concordato, delle garanzie di libertà e dello stato di diritto: in questo senso la battaglia per avere e mantenere una legge che permettesse il divorzio era una battaglia in nome delle libertà personali, come poi fu la battaglia per l'aborto (ricordate il bellissimo slogan femminista "Io sono mia"?).
Ecco, il profumo di poter essere liberi, liberi e responsabili in proprio delle proprie azioni era la droga inebriante di quegli anni. Vero, tanta ce la siamo presa noi, ma un bel po' ce l'ha passata lui.

Ho citato i temi più famosi, ma c'erano una miriade di altre lotte portate avanti dai radicali, che la sinistra, parlamentare ma anche quella extra-parlamentare, non capiva: l'antimilitarismo, l'obiezione di coscienza, l'antiprobizionismo, le libertà sessuali, etero e omo, e tante altre. Senza l'azione libertaria dei Radicali e di Marco, oggi saremmo ancora in un oscurantismo medievale e fondamentalista.
Metteteci il fiuto comunicatore e le abilità istrioniche di Marco: organizzava feste-concerto con bei nomi del rock, radunava centinaia se non migliaia di persone, e poi concionava per ore con un'incredibile e affascinante abilità oratoria. Come non potevamo ammirarlo quasi come un guru che illuminava la strada di fronte a noi? (Anche se, va detto, dopo la prima ora e mezzo di concioni cominciavamo a rumoreggiare per sentire finalmente il famoso gruppo rock...)
Metteteci pure i mezzi inconsueti, spettacolari, irridenti del perbenismo e conformismo borghese che Marco usava per richiamare l'attenzione sulle sue lotte, i bavagli, i maglioni neri a collo alto stile Amleto o esistenzialista francese, col medaglione Make-Love-Not-War, gli spinelli e la distribuzione di pezzi di fumo in piazza...
(Leggo oggi di un sacco di gente, anche autorevole, che paragona le capacità mediatiche di Marco a quelle di Grillo. Per carità. Intanto, l'abissale differenza di profondità culturale. Poi, Marco non ripudiava le istituzioni repubblicane. Le castigava, sicuramente, ma era perfettamente fiero di essere parte integrante di una Repubblica ideale, per il cui riscatto combatteva: tanta parte delle sue lotte era per dar voce ai suoi Radicali e per portarli in Parlamento. Marco voleva trasformare, affrancare, pulire. Non distruggere una Res Publica per la quale tanti avevano sofferto ed erano morti.)

Quindi, come non si poteva non amare il Marco libertario?
E come non si poteva non abominare il Marco narciso e liberista? Il Marco che accetta i camorristi nel Partito? Il Marco che apre a Berlusconi, che partorisce un Capezzone, che attacca i diritti dei lavoratori? Ma questo era Marco. Le sue non erano contraddizioni: tutto il contrario. Era la sua coerenza spinta fino in fondo, fino all'eccesso. E allora poca cosa sono questi che io vedo come errori. Meglio vedere la sua lotta per i diritti dei carcerati, per il diritto alla conoscenza, per ogni tipo di diritto.

Comunque. Lungi da me il voler fare una disamina politicamente puntuale dei Radicali e di Marco Pannella. Non ne ho la capacità. Ho voluto solo cercare di condividere il sapore di quegli anni, visto che li ho vissuti in prima persona. Saranno pure poi diventati di piombo, ma quanto fervore! Quanti ideali, quanta bellezza.

In conclusione torniamo indietro nel tempo con il ricordo di Marco Artico. In una trasmissione di Roberto Quintini, con Rita Bernardini, raccontano i fatti relativi all'assassinio di Giorgiana Masi del 12 maggio 1977.
Un tragico episodio ma anche l'esempio di come fosse ed è il cuore dei radicali.

Fulvio Savagnone


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