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Asunder, Sweet and Other Distress

Di: Stefano Santoni | 18/05/2015
Li avevamo quasi dati per finiti qualche tempo fa i Godspeed You! Black Emperor, dispersi da qualche parte nelle vaste foreste boreali del Quebec, poi due anni e mezzo fa 'Allelujah! Don't Bend! Ascend! ce li aveva fatti ritrovare (quasi) come li avevamo lasciati. Il collettivo di Montreal è fortunatamente tornato, e nonostante il nuovo Asunder, Sweet And Other Distress sia l'episodio più breve della loro carriera con i suoi 40 minuti scarsi, non viene certo a mancare il fascino ipnotico, epico senza compromessi di una band che sin dall'indimenticabile F#A#∞ del 1997 ha saputo trovare una formula unica composta da cavalcate eroiche che si innalzano al cielo come la bandiera che campeggia nel poster interno e che i GY!BE riescono a tenere sempre alta incuranti del vento che cambia. Peasantry or 'Light! Inside of Light! è la prima traccia, tanto fantasiosa o semplicemente nonsense nel titolo, quanto maestosa nel suo incedere blues con le chitarre che fiammeggiano alte nel cielo per poi ritrarsi timidamente, ed impennarsi di nuovo ripartendo come e più di prima. Il tutto naturalmente, come consuetudine, senza la minima traccia di un assolo.. La narrazione epica ed il crescendo quasi doom dell'opener va a sfumare lentamente in Lambs' Breath, una nera nebulosa che sembra inghiottire tutto tra droni e rumorismi prettamente ambient. Girando lato del disco non cambia l'atmosfera scura; infatti, anche Asunder, Sweet è una densa nebbia tra ambient, droni e chitarrismo sperimentale che però fa il percorso inverso, squarciandosi nella conclusiva cavalcata di Piss Crowns Are Trebled. Il violino di Sophie Trudeau riesce a creare un substrato quasi folk dove le chitarre di David Bryant e di Efrim Menuck (membro insieme alla Trudeau anche dei Thee Silver Mt. Zion Memorial Orchestra) possono piantare i propri semi emozionali, corali, accorati. Come una disperata invocazione al cielo, la loro sembra una musica da ampi spazi aperti, se non fosse che i GY!BE sono, per la loro vocazione intimista, tra i gruppi più lontani possibile dal rock da stadio. Talvolta può coglierci il dubbio del "già sentito", ma su questo non possono esserci dubbi, se così fosse , lo abbiamo sentito sempre e solo da loro. In definitiva è un grande album questo dei Godspeed, sicuramente migliore del precedente, e chissà se l'essere diventati meno prolissi abbia reso ancora più potente il loro suono senza compromessi. Meraviglioso come sempre il packaging della benemerita Constellation Records, completo di poster apribile e coupon per il download della versione digitale.

- Stefano Santoni

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