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On Bended Knee

Di: Stefano Santoni | 26/02/2015
Ci sarebbe molto da dire sulla musica italiana schiacciata tra i cosiddetti talent ed i vari fenomeni commerciali passando per certi presunti fenomeni “underground” che a guardare bene uscendo dal nostro piccolo mondo si rivelano di una pochezza disarmante (un nome su tutti: Vasco Brondi, ma ce ne sarebbero molti altri…). Meglio rimandare questo scomodo discorso ad un’altra occasione... Ringraziando il cielo c’è chi nel nostro stivale sa fare ancora bella musica: ad esempio il 2014 ha visto il ritorno trionfale degli anti-pop Gustoforte, il felicissimo approdo dei siciliani Lay Llamas alla Rocket Recordings, un Andrea Belfi che si è saputo addirittura triplicare: un album solista di felice elettroacustica, un altro lavoro in trio con Stefano Pilia e David Grubbs, e l’apporto percussivo all’ultimo Boy di una ritrovata Carla Bozulich. Questo tanto per citare alcuni connazionali che hanno saputo trovare una strada estremamente ispirata nel corso dell’anno appena terminato. Tra questi ci sono anche sembra ombra di dubbio I romani 2Hurt, capitanati da Paolo Bertozzi, personaggio di grande importanza per la scena underground romana con i suoi Fasten Belt, attivissimi a cavallo tra ’80 e ’90. Un anno dopo lo splendido Mexico City Blues, sentito e strumentale omaggio ai viaggi On The Road di Jack Kerouac ecco uscire per la loro etichetta Lostunes il loro quinto album in studio intitolato On Bended Knee. Amate la musica di frontiera, l’americana tout court ed un certo tipo di folk intriso di psichedelia? Beh, allora non esitate ad indossare anche voi un paio di logori e polverosi stivali e a macinare chilometri di strade blu fino al confine con il Messico ed oltre. La band riafferma il suo potenziale formidabile (se vi capita non perdeteli dal vivo) già con l’iniziale Tonight I’ll Let You Know che ci sa abbindolare e trascinare semplicemente facendoci accarezzare ed avvolgere da una chitarra acustica, dalla voce roca, scura, solo apparentemente sconfitta di Bertozzi e dall’innesto dello strabiliante ed inquieto violino di Paola Senatore i cui intrecci con gli strumenti “classici” del rock sono il marchio di fabbrica che rende il sound dei 2Hurt perfettamente riconoscibile. La scossa elettrica di Painful Memories ci porta in un deserto dove sarebbe facile sentirsi piccoli, deboli ed inginocchiarsi davanti ai ricordi che fanno male, ma il brano è capace di innalzarsi su vette altissime e la seguente Find My Way Back Home, pur utilizzando un canovaccio già usato ed abusato da Neil Young e i suoi Crazy Horse, riesce ad essere piacevolmente trascinante e a suonare originale. La loro idea personale di ballata desertica psichedelica e passionale si manifesta appieno in Love Kills, dove il violino della Senatore lascia cadere con rara maestria una cascata di corde come pioggia battente. Difficile poi fermare un treno in corsa come quello di Young Suicide, dove le chitarre di Paolo Bertozzi e Roberto Leone si inseguono fermandosi di tanto intanto solo per il sublime gusto di aumentare il pathos del brano fino alla corsa ed alla stazione finale. Rimane eccome il tempo anche per prendere fiato, sospendere il flusso elettrico e lasciarsi accarezzare dagli accordi ed arpeggi della seguente Whilst We Have A Ball per poi gustarsi meglio l’elettricità sottopelle lisergico-desertica del brano più lungo del lotto Without Affection, impreziosito dalla presenza ai cori di Valentina Valeri. I brividi di una rivincita che brucia sotto il sole vengono fuori in una poderosa Revenge Burns Under The Sun, il cui crescendo finale risulta di clamorosa intensità emotiva con il violino che si sovrappone alle chitarre fino al dissolversi della pennata finale. La mid-tempo Black Coffee è tanto equilibrata quanto trascinante, con un centrale assolo di chitarra estremamente sofferto ed uno strepitoso lavoro della sezione ritmica, tanto poderosa quanto fantasiosa, formata dalla batteria di Marco Di Nicolantonio (anche lui presente nel nucleo storico dei Fasten Belt) e dal basso di Giancarlo Cherubini. A chiudere il tutto ci pensa la dolce ed acustica ninnananna strumentale di Sofia's Lullaby che sa accarezzare e sedurre giusto il tempo che ci vuole per far venir voglia di far fare a questo album un altro meritato giro. Un album di grande rock italiano, anche se intriso di umori americani, uscito anche in una splendida edizione in vinile per i cultori (fortunatamente in ascesa) di questo tipo di supporto. Un lavoro non facile da assemblare, con il cuore e la mente rivolta a chi non c'è più (principalmente a Claudio Caleno, storico cantante dei Fasten Belt), ma che proprio dalla sofferenza ha saputo graffiare, affascinare e sedurre, un album tanto malinconico quanto frenetico suonato con passione, sangue e sudore. Un gruppo di grande spessore e talento che, forse, fa uscire l'album della completa maturità, ed è un peccato che non siano ancora conosciuti come sicuramente meriterebbero, ma chissà...piano piano....intanto andate a recuperare il materiale precedente, troverete pane per i vostri denti. Non perdeteli il 27 febbraio (domani se leggete questa recensione nel giorno di pubblicazione, se siete dalle parti della capitale, li troverete dal vivo sul palco del CrossRoads Live Club (Via Braccianense 771), a dividere il palco con loro anche Claudia McDowell & Revox e Valentina Valeri & Band. Ah...dimenticavo...l'etichetta dei 2Hurt, la Lostunes Records, ha anche appena ristampato l'album dei Fasten Belt "No Escape From Acid Hysteria" in una versione rimasterizzata con 2 CD contenenti 6 Bonus Tracks e 10 tracce registrate live dall'87 all'89, una versione da non perdere sia se già li conoscete, sia se volete farvi un'idea di che gruppo meraviglioso fossero.

- Stefano Santoni

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