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The Ex e Roy Paci al Parco delle Energie

Di: Fulvio Savagnone | 09/06/2014

Qual è il significato del Punk nel secondo decennio del terzo millennio?
Quanto è rivoluzionaria una risata anarchica?
A queste e ad altre domande hanno risposto gli olandesi The Ex insieme a Roy Paci venerdì scorso a Roma, nell'ambito del festival Match & Fuse che si è svolto al Parco delle Energie ex-Snia.

Le coordinate
Parco delle Energie, ex-Snia Viscosa, storico CSOA di Roma sempre in fermento e pieno di belle attività.

Match & Fuse, una rete europea per lo scambio di spazi e opportunità per suonare, che organizza un festival internazionale giunto alla III edizione di Roma, dopo quelle di Londra e Oslo.

The Ex, collettivo olandese che quest'anno compie 35 anni di attività (e 139 releases della loro etichetta discografica, la Ex Records). Etichettati come anarco-punk, per le loro origini e per l'impegno politico e soprattutto sociale. Ma attenti a non chiamarli così in loro presenza, vi riderebbero in faccia, un po' irritati dalla troppa semplificazione.

La storia
The Ex nascono nel 1979 all'interno del movimento degli squatters che creò una scena culturale alternativa gigantesca: in quegli anni nella sola Amsterdam c'erano circa 10,000 spazi occupati, spazi che non erano utilizzati solo a scopo abitativo, ma che erano il centro di attività di ogni tipo, dal commercio di birre belghe a, appunto, mettere su un gruppo e gestire concerti e micro etichette discografiche. Era la speranza di creare una rete autosufficiente e alternativa per una vita differente e distante dall'establishment.
In 35 anni gli Ex hanno ovviamente visto sia molti cambi di line-up e di stili musicali. dal punk degli inizi a strutture musicali più complesse che includono jazz, improvvisazione e noise, sia le collaborazioni più svariate, dai Sonic Youth a Tom Cora, da Steve Albini a Han Bennink, da Mats Gustafsson a Roy Paci (collaboratore assiduo da 15 anni, da solo come venerdì sera o con una sezione fiati micidiale, i Brass Unbound).
Sempre aperti a suggestioni sonore di ogni tipo, non potevano mancare influenze dal sud del mondo, in special modo dal Congo (con i Konono No.1) e dall'Etiopia: epocali i due tour autogestiti fatti con Han Bennink nel 2002 e 2004, dove hanno suonato ovunque, soprattutto dove un gruppo "rock" non s'era mai visto, e dove hanno scovato il Leone d'Etiopia, il sassofonista Getatchew Mekuria, con il quale hanno inciso due dischi, Moa Anbessa e Y'Anbessaw Tezeta.
Anche attraverso tutti i cambiamenti, gli Ex sono rimasti un collettivo coeso e fedele alla loro filosofia di vita e musica fatta di semplicità, immediatezza, abbandono di fronzoli superflui e dedita al DIY, non solo nell'autogestione musicale, nella creazione di reti collaborative ma anche nella pratica quotidiana. Ad esempio tutta la loro attrezzatura per i concerti sta nel furgoncino che immancabilmente usano per spostarsi da un concerto all'altro in tutta Europa, furgoncino che guidano e all'occorrenza riparano con le loro stesse mani, affrontando il rischio (come è successo quando in Germania hanno dovuto cambiare la scatola del cambio con 5 sotto zero) di presentarsi al concerto con braccia doloranti e tutti sporchi di morchia...

Il concerto
Oggi gli Ex sono un quartetto. Terrie Ex (all'anagrafe Hessel), ultimo rimasto del line-up iniziale, alla chitarra, Katherina Bornefeld, batterista del gruppo dal 1984, il londinese Andy Moor al basso, con loro dal 1990 e Arnold de Boer, voce e chitarra, l'acquisto più recente che ha portato nella scrittura dei testi un approccio politico più mediato e astratto ma in cui le nevrosi si risolvono individuando con chiarezza le cause sociali che le generano. Chi segue RRTO da un po' di tempo lo ricorderà in proprio qualche anno fa come Zea The Beginner, autore di uno stralunato ma lucido elettro-punk...
La musica regalataci venerdì sera era una macchina da guerra dai ritmi inesorabili, frenetici, con Terrie e Andy che zompettavano per tutto il palco sparando riffs ossessivamente ripetitivi, mentre Arnold (venerdì era il suo compleanno!) urla o scandisce nel microfono attacchi all'opprimente neoliberismo, con la sua Telecaster che martella secchi arpeggi di poche note. Uno stacco dal tempismo perfetto, ed ecco escursioni nel noise dove le povere chitarre vengono maltrattate con gli aggeggi più svariati.
Roy Paci, che li conosce bene, è a suo agio sia quando fa da solo la sezione fiati, sia quando si abbandona al noise con gli altri tre.
E a tenere tutto insieme ci pensa Katherina, la spina dorsale del suono Ex: non suona mai le cose normali che ti aspetti da un batterista rock ma tiene un inesorabile poliritmo motorik alla Jaki Liebezeit, utilizzando spesso campanacci e blocchi di legno (il cui suono esce perfettamente dal mix) invece di tamburi e piatti.
Dal vivo gli Ex evitano di suonare cose vecchie (parole testuali: "Non siamo quel tipo di gruppi di vecchi scoreggioni...") e allora ecco i pezzi dell'ultimo singolo di quest'anno How Thick You Think/That's No A Virus, dall'album dell'anno scorso con i Brass Unbound (Roy Paci, Mats Gustafsson, Ken Vandermark, Wolter Wierbos, mica pifferi!): Our Leaky Homes, Bicycle Illusion, Every Sixth Is Crooked, ma anche da Catch My Shoe (disco dell'anno nel 2010 per RRTO): 24 Problems e tanti altre.
A proposito di DIY, Terrie suona (mancino) una irriconoscibile chitarra a 5 corde, dal corpo stinto da mille battaglie soniche, con il cablaggio chiaramente modificato e rifatto, come si vede chiaramente da buchi nella cassa, residui di vecchie manopole ormai perse e dai pick-up malamente incastrati in recessi del corpo che non sono i loro...
Andy (che nasce chitarrista) invece suona uno strano ibrido basso/chitarra: una Fender Jaguar in cui le prime quattro corde sono più spesse del normale e le ultime due sono corde di basso, i cui cavicchi sono stati sostituiti dai più grandi cavicchi da basso, che infatti non c'entrano e stanno messi storti...
Due ore di un'onda energetica inesauribile: al terzo ed ultimo bis le capacità improvvisative sono risaltate, quando hanno ripreso il ritmo che il pubblico batteva con le mani sul palco per richiamarli, trasformandolo e stravolgendolo per arrivare al pezzo che avevano deciso di regalarci.
Una goduria di concerto per un pubblico (ahimè, di poche centinaia di persone) che come il sottoscritto saltava, pogava, ballava e giustamente strillava la propria gioia.

--Fulvio Savagnone


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