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Depeche Mode - Roma, 20 Luglio 2013 di Fabio De Seta

Di: Fabio De Seta | 28/07/2013
Il concerto dei Depeche Mode (Andy Fletcher, Dave Gahan, Martin Gore) a Roma, allo stadio Olimpico, per il tour del loro ultimo disco Delta Machine dopo più di 30 anni di carriera merita una riflessione iniziale per capire che, assistere oggi ad un loro concerto, è molto diverso da quello che era qualche anno fa, oscuri al punto giusto, tre synth e una drum machine ed un Dave Gahan unico elemento "umano", i DM da circa tre lustri hanno cambiato o meglio adattato la formula (almeno dal vivo, in studio le dinamiche sono più o meno rimaste le stesse di sempre) a favore di una performance più ordinaria anche per esigenze derivate dal cambio di formazione del 1995, con l’abbandono di Alan Wilder, con l’ausilio di due fidati turnisti, Peter Gordeno e Christian Eigner rispettivamente synth e batteria.
Se da un lato questo aspetto non può che lasciare un pizzico di amaro in bocca a chi li segue sin dagli inizi, dall’altro è stata negli anni una scelta quasi obbligata che si è poi rivelata anche lungimirante, considerata la configurazione live di altri artisti elettronici contemporanei, che optano o per i 'laptop live' oppure si presentano con batteria, basso e chitarra sul palco e di elettro portano ben poco se non qualche base preconfezionata.
Giornata calda, ma non caldissima, anche se c’è comunque da soffrire per chi come il sottoscritto ha i biglietti per il prato, l’impressione è che il sold-out, segnalato sui cartelloni fuori lo stadio, sia effettivamente reale e dopo una fila insolitamente rapida ed ordinata si entra nel catino che si riempirà in ogni ordine di posto.
Il pubblico presente è composto da diverse fasce di età, dai molto giovani agli ultra cinquantenni, passando per i 30/40enni che sono decisamente i più numerosi, comunque tutti, che contribuiscono ad un colpo d’occhio dal prato sugli spalti che è impressionante.

Dalle 19 inizia la musica dei gruppi supporto con i Motel Connection, un trascurabile side project dei Subsonica, per proseguire con Mattew Dear, musicista/Dj/remixer compagno di scuderia dei DM nella storica Mute Records.

Le luci per l’evento principale si abbassano le luci alcuni minuti dopo le 21 ed il pulsante basso modulare, segno distintivo dell’ultimo album Delta Machine, introduce la band che inizia con Welcome to My World e Angel, stessa sequenza d’inizio dell’album, primo impatto molto positivo con i nostri molto concentrati e con la voce di Gahan in ottima forma, cosa che in alcune occasioni è venuta meno (anche per problemi di salute del frontman come nel tour del 2009), il tempo di un "Good evening Rome!" da parte del buon Dave e subito si riprende a ritmo serrato con Walking in My Shoes (con un nuovo intro elettro), Precious e, soprattutto, la gradita presenza di Black Celebration che era assente ingiustificata dai loro concerti da almeno una decina di anni.
Policy of Truth, Should be Higher e la riuscitissima Barrel of a Gun chiudono virtualmente la prima parte di concerto.
The Child Inside e una versione acustica di Shake the Disease sono i brani cantati da Gore che come al solito interpreta i momenti più intimi dello spettacolo e riesce sempre ad ammutolire il pubblico.
Rientra Gahan e si rialza il ritmo, l’ultima parte della setlist ci offre i singoli di Delta Machine, ma anche Secret to the End, composta da David, brano palesemente non all’altezza, soprattutto se paragonata alle più elaborate e collaudate scritte da Martin Gore, l’unica pecca di tutta la serata direi.
A Pain That I’m Used To a seguire è una delle novità della serata, perché viene presentata con un arrangiamento ripreso da uno dei vari remix editi per questo brano, con Gordeno al basso elettrico impegnato in un giro che non sfigurerebbe nell’ultimo Daft Punk e una ritmica che rende il brano più alienante e robotico, il risultato finale è convincente. Personal Jesus ed Enjoy the Silence vengono proposti in sequenza, giusto per far andare in visibilio ancor di più il pubblico, ormai rodati e curati anche i finali strumentali di questi classici come per Walking in my Shoes, si chiude con Goodbye accompagnata da un suggestivo video in bianco e nero .
Alcuni minuti di pausa e poi il rientro per il finale con tutti pezzi storici da Somebody cantata da Gore, passando per una Halo in versione soft, anche questa riarrangiata sulla base di un valido remix, proseguendo con la Just Can’t Get Enough di più di 30 anni fa e concludendo con l’energia di I Feel You e Never Let Me Down Again con annesso campo di grano formato dalle braccia del pubblico, una scena da brividi considerato il numero di presenze all’Olimpico.

Al saluto di “see You next time” termina un’esibizione tanto esaltante quanto sorprendente e con una certa soddisfazione per aver trovato una band in grandissima forma, ci avviamo verso l’uscita anche un poco intimoriti dalla vera e propria muraglia umana che sfila lentamente ma comunque con discreto ordine. Il confronto con i Depeche Mode al top (periodo a cavallo tra '80 e '90), lascia francamente il tempo che trova, probabilmente è solo un cruccio da fissati come me, il tempo passa per tutti ma se come per il concerto dell’Olimpico avranno ancora la forza di proporre qualità e buon gusto, oltre alla chiara percezione che ai tre piace ancora quello che stanno facendo, andremo sempre a vederli live con l’entusiasmo degli anni migliori.

Intro
Welcome to My World
Angel
Walking in My Shoes
Precious
Black Celebration
Policy of Truth
Should Be Higher
Barrel of a Gun
The Child Inside
Shake the Disease (Acoustic)
Heaven
Soothe My Soul
A Pain That I'm Used To (Remix version)
A Question of Time
Secret to the End
Enjoy the Silence
Personal Jesus
Goodbye

Encore:
Somebody
Halo (Remix version)
Just Can't Get Enough
I Feel You
Never Let Me Down Again


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