Acolyte

DELPHIC – Acolyte L'album di debutto dei Delphic segna la risposta britannica a quella scena che, sull'onda lunga del successo nei primi anni 2000 dell'elettroclash (non a caso incidono per Kitsunè Records che è l'ultima etichetta dei Fischerspooner), si è sviluppata soprattutto in Australia con nomi più o meno noti ma comunque validi come i Cut Copy, Van She e Empires of the Sun, la cui proposta musicale è quella di un merge tra la New Wave anni '80 e un certo tipo di disco- music colta (se mai tale aggettivo si può associare a questo genere).

Con la produzione del remixer Ewan Pearson, Acolyte, questo il titolo dell'album, si apre con Clarion Call, che ha la funzione di classico intro con il suo incedere in crescendo che prelude a quello che dovrebbe essere il clou del disco con i brani da 'singolo'.
Doubt ricorda tremendamente Regret dei New Order per tutto, sequencers e assolo finale compresi, This Momentary invece sa tanto di Van She...
Probabilmente Red Light segna il miglior momento dell'album con una strofa veramente originale anche se un po' intaccata da un ritornello non allo stesso livello. Comunque fino a qui il CD mantiene uno standard dignitoso.

La seconda parte dell'album inizia con la title track strumentale Acolyte, un pastrocchio di suoni elettro senza molto senso, poi Halcyon, Submission e Remain ristagnano nel banale cliché della canzonetta stile finto alternativo che tanto piace al popolo di MTV.
La sequenza di Counterpoint infine sembra proprio la stessa di Bizzarre Love Triangle dei New Order (sempre loro...).
Sostenuto molto da tv e radio anche mainstream, a mio avviso questo album si dimostra inconsistente non solo dal lato compositivo ma anche da quello della produzione che ritengo troppo scontata: questa piega disco-melodica della New Wave of New Wave di fine anni '00 ha prodotto cose veramente interessanti con i gruppi sopra menzionati. Dei Delphic invece si può affermare con franchezza che non rimarrà molto di questo debutto.

Fabio de Seta